domenica 17 novembre 2013

L'esistenza della diversità e la diversità dell'esistenza

L’uno dopo l’altro, l’uno dopo l’altro, i secondi si rincorrevano: regolari e incalzanti. La lancetta aveva già fatto cinque giri e trequarti da quando Alice aveva preso a fissarla. Erano le 3:54 del 1 gennaio.
Alice se ne stava nel letto rannicchiata, immobile, sotto al piumone che le lasciava scoperti solamente gli occhi e metà di naso, ghiacciato. La serata era durata anche troppo, avevano retto fino alle 2:30 tutti assieme attorno al camino, poi finalmente la compagnia si era scolta e lei aveva potuto ritrovarsi nell’unica condizione che le si addiceva in quel momento: la solitudine.
In fondo non le era mai piaciuta la notte di capodanno, l’aveva sempre considerata una grande bugia collettiva. Tanti propositi per l’anno nuovo destinati a durare quanto un colpo di petardo, tante attese per una serata sempre destinata “indimenticabile” ma che puntualmente diventava per lei qualcosa da rimuovere per noia, per imbarazzo, per delusione.
Eppure c’era qualcosa che la notte di San Silvestro era in grado di scatenare in lei: l’insorgere insistente di domande ricorrenti, che da tempo indefinito si portava dentro e che periodicamente riemergevano, come un riflusso, come una marea. Sarà stata l’influenza di tutte le grandi riflessione che vedeva formulare dagli altri in previsione di questa “grande serata”, sarà stata la sua natura malinconica che risentiva profondamente di ogni addio (sì, anche di quello ad un anno –mediocre- che se ne stava andando), fatto sta che Alice si ritrovò a fissare l’orologio sopra la sua scrivania interrogandosi sull’essenza stessa di quella notte.
Aveva provato a non pensarci, a sbattersi con crudezza davanti agli occhi tutta l’assurdità del suo ragionamento, eppure ciò non bastava, Alice continuava a vederla nettissima: una somiglianza tra l’ “idea stessa” dell’ultimo dell’anno e il senso di tutta una vita.
 Non aveva bisogno di pensarci troppo, le appariva nettissimo cosa fosse a rendere uniche quelle ore a cavallo del cambio di data: era la “possibilità”, era l’idea che  tra il prima e dopo di essere ci fosse una qualche chance che la realtà assumesse un altro tono, un altro senso, un altro sapore. A tale conclusione balzana  era arrivata dopo aver notato un dettaglio per i più insignificante o sciocco ma che a lei parve rivelatore: i bambini che nascono la notte di San Silvestro hanno allo stesso tempo la possibilità di essere gli ultimi del loro anno, i più piccoli, quelli che saranno sempre considerati un po’ gli arrivati di straforo e si riconosceranno per essere spesso più minuti dei loro coetanei (ai quali peraltro, taluni hanno il sentore di non appartenere a pieno titolo) oppure i primi dell’anno successivo, i "grandoni", quelli che spiccano in altezza e (si presume) in intelligenza. Stereotipi? Non più di tanto.
E’ come se in fondo la quella notte e la vita stessa ti dicessero “Senti, caro, non mi importa molto che tu sia nato di marzo-maggio-agosto-novembre, la domanda fondamentale è sempre e solo una: dicembre o gennaio?” Sei  di un anno o di quello successivo? Sei dentro o sei fuori? Sei o non sei?.
Un po’ come lo stretto di Bering, l’unica nozione di geografia che le fosse mai rimasta veramente impressa, ovvero quello stretto braccio di mare che separa il punto più ad est del continente asiatico dal punto più ad ovest di quello americano. Cosa c’entra? Beh quegli 85 chilometri  sono il pezzetto di terra in cui il mondo finisce…per poi ricominciare nella sua circolarità, l’anello in cui si sfiorano due  blocchi contrapposti. Anche per quel luogo viene da chiedersi: sei America o sei Asia? Sei l’oggi o sei il domani?.
Ma di fatto: cosa demarca il confine tra le due alternative in gioco?. Alice alle 3:54 di quel 1 gennaio come tanti altri, vide balenare davanti a sé la sua risposta: tutto e niente. Le parve lampante. Quel mare, di fatto, è solo mare, come del resto quell’istante tra le 23:59 e 0:00 non è nient’altro che un prosaico e difettoso Bosone di Higgs incapace di trasformare l’ “energia” delle illusioni in una “materia” che sia costituzionalmente diversa da quella generata 1 secondo prima.
Quell’istante è solo "un istante" e allora il ragazzo che nasce appena prima di lui è diverso da quello che nasce appena dopo di esso? Balle, quella ragazzo è sempre lo stesso. I suoi limiti, i suoi talenti, le sue passioni sono e saranno sempre le stesse. 
Alice sgranò gli occhi, spiazzata ma non turbata, quel ragionamento di chiarezza quasi scientifica l’aveva destabilizzata: era tanto lampante da risultare crudele. Le sembrava demolisse tante contrapposizioni in cui spesso si era perduta, occupatissima a scegliere da che parte stare, era capace di toglierle di mezzo come si spazzano le foglie da un piazzale, facendo sì possa vedere di nuovo il ruvido asfalto che lo costituisce. Ora, finalmente, Alice poteva osservarlo e leggervi a chiare lettere: “Siamo o ci fanno essere?”.







martedì 1 ottobre 2013

GMG a Lourdes: la forza di nuovi occhi



“Guardare e ri-guardare con occhi nuovi” questa potrebbe essere la frase adatta per sintetizzare la settimana trascorsa a Lourdes: abbiamo visto qualcosa, ma ci è data la possibilità di osservare di nuovo e meglio. Perché, e soprattutto, in che modo? Tutto ha inizio quando qualcuno ci fa una proposta (quella di partire o ripartire) e noi, magari senza nemmeno sapere bene il motivo, diciamo “sì”. Ci si mette in viaggio  e si arriva davanti ad una Grotta che ad alcuni dei nostri compagni di avventura ha già detto diverse cose, ad altri invece non fa che presentarsi in tutta la sua silenziosa imponenza.  
Normale, quindi, che i “nuovi” comincino a guardare incuriositi, un po' meno scontato il fatto che chi si trova a Lourdes per la quinta, sesta, settima volta, vedendo a distanza di tanto tempo lo stupore brillare nei loro occhi, abbia la sensazione di rivivere vecchie emozioni in modo più profondo che mai.
Il gruppo di quest'anno era composto in maggioranza da ragazzi che per la prima volta affrontavano questa avventura e il loro entusiasmo, la loro voglia di fare, la loro felicità sono stati doni preziosi per tutti coloro che a Lourdes avevano già ricordi e pensavano di aver terminato il proprio “tempo” davanti alla grotta di Massabielle. I loro occhi sono stati i nostri nuovi occhi. Ma una prospettiva “diversa” di Lourdes ce l'ha offerta anche l'organizzazione speciale che il Service des Jeunes ha creato per la settimana, pensata come una “mini GMG” in comunione spirituale con Rio. L’universalità della fede è sempre una grande risorsa: apre nuovi orizzonti a chi già in cammino e soprattutto “travolge” chi si accosta, con la spensieratezza e l’estrema sensibilità della propria adolescenza, all'essere cristiani. Abbiamo sperimentato questa “globalità del credere” in quei cinque giorni effettivi di “JMJ avec Rio” nei quali abbiamo conosciuto, molto di più rispetto agli anni passati, ragazzi nostri coetanei provenienti da tutto il mondo  per vivere un'esperienza unica. Siamo infatti stati testimoni di una commistione inedita: la gioia di una GMG (in cui si ritrovava lo “spirito”, oltre che le magliette,  di Madrid) unita al raccoglimento di un luogo come Lourdes dove la realtà pare deformarsi per inquadrare gli ultimi, i sofferenti nel corpo e nello spirito. Non è facile descrivere l'atmosfera respirata in quei giorni, “E’ indescrivibile a parole” dicono sinceramente Azzurra e Tiziano, ma una cosa è certa, aggiungono: è un'esperienza che “ Riempie il cuore di gioia”. Quest'anno non abbiamo fatto solo servizio con i malati, ma anche catechesi, messe alla Grotta, veglie di preghiera e abbiamo avuto possibilità di andare più agevolmente alle piscine come pellegrini. E' certamente questa l'esperienza che ha maggiormente segnato Damiano il quale afferma “Ho provato una sensazione di pace che mi ha profondamente toccato il cuore” che cosa bella, ma al tempo stesso strana da dire in merito ad una realtà che molti superficialmente considerano roba “da vecchi” o “da bigotti”. Ti annoierai perché pregherai e basta” era stato detto ad Alessia prima della partenza, ora può certamente dire che non è andata così.
I momenti di catechesi, di altissimo livello, sono stati solo una parte delle intense giornate trascorse insieme nella condivisione totale di gioie (e anche di qualche disagio ed imprevisto). Momenti di prova serviti a farci riflettere su quanto siamo fortunati ad avere tante piccole e “banali” comodità e che  hanno rinsaldato in poco tempo i legami. Infondo è proprio questo il “vero miracolo di Lourdes”: accogliersi, “sentirsi accettati” come ha detto Alice, aspettarsi, sostenersi, migliorarsi reciprocamente. “Qui si vede l'anima” ha affermato Azzurra, ecco il motivo della gioia di cui si parlava: abbiamo trovato, o ritrovato, un luogo dove cade ogni maschera. Rimane ancora però un ultimo, importantissimo, passo da fare: capire che quel luogo possiamo e dobbiamo portarlo dentro di noi. “Diminuire, aprire, uscire” questi sono i tre verbi che il vescovo di Foligno monsignor Sigismondi, ci ha lasciato al termine dei suoi tre giorni di catechesi: diminuire le proprie esigenze, aprirsi al prossimo ed essere segni dell'amore di Dio, poi “uscire”. Uscire da se stessi, dai limiti del proprio egoismo e interesse, uscire ad annunciare che la felicità trovata è qualcosa di reale, un regalo che possiamo avere ogni giorno. Del resto era proprio il tema della JMJ “Andate e fate miei discepoli tutti i popoli!” ed è stato l'oggetto dell'ultima omelia “Se avete provato gioia in questi giorni, non private il mondo della possibilità di poterla sperimentare!”: un invio a missione che anche il Papa ha lanciato ai giovani a Rio e che probabilmente a casa  non avremmo compreso. Ora non resta che tornare a camminare sulle nostre strade, pronti a diffondere tutto quello che c'è stato insegnato: un esempio? Il fatto che per capire cosa vuole davvero il nostro cuore occorre risalire il flusso dei nostri pensieri, e se non riusciamo, andare a vedere “Dove guardano i vostri occhi?”. Solo così potremo imboccare una strada di verità che ci porterà lontano e avremo la certezza di ritrovarci, perlomeno con il cuore, tutti quanti a Cracovia.

                                                                                                                             Irene Bertelloni

giovedì 5 settembre 2013

Pensiero per la Sagra

Io lo so che non si abbattono le emozioni, non si demoliscono i ricordi, non si smontano le speranze.
Ci sono almeno due ragioni per cui io credo fermamente in tutto questo. La prima è molto banale: non riesco ad accettare il contrario. Non riesco a pensare che tutte le esperienze e i momenti vissuti insieme in questi venticinque anni possano essere spazzati via, o anche solo impolverati, da qualche braccio meccanico. La seconda motivazione invece mi viene (in modo del tutto inaspettato) dal mondo della matematica: è la vecchia questione della differenza tra “sufficiente” e “necessario”. Siamo tanti qui questa sera, e molto diversi, ma qualcosa che ci unisce: se ognuno di noi guarda attorno a sé sentirà riemergere uno, due, tre, mille aneddoti legati a questi pochi metri. Vedete però, la matematica mi ha insegnato che ognuno di questi luoghi: il bar, il bancone di Giancarlo, i tavoli “esterni” che non si trovano mai, la vasca delle panzanelle, sono tutti elementi “necessari” ma non “sufficienti”. Sono assolutamente “necessari” perché senza di essi non avremmo potuto vivere tutto quello che abbiamo provato, ma non sono affatto “sufficienti” perché siamo stati noi a dargli un nuovo significato. In fondo tutti noi siamo un po’ come questa sagra: pezzi unici, presi da chissà dove, magari anche un po’ strani e che si sentivano senza scopo, ma che assemblati insieme hanno trovato una nuova funzione, hanno vissuto una seconda vita. Noi però non siamo affatto rimasti gli stessi che sono partiti venticinque anni fa, ma anzi ci siamo allargati, aperti, arricchiti, e ogni pezzo che si è aggiunto dopo un breve rodaggio è andato velocemente a diventare parte del tutto. Segno quindi che forse c’è qualcosa più di una maglietta a renderci tutti uguali. “Qualcosa”, che certamente non viene giù insieme alle lamiere.
Il rischio però è che sotto le macerie del vecchio resti impigliata anche la speranza, imbrigliata dalla tristezza e appannata dalla stanchezza. Come possiamo evitarlo? Dobbiamo pensare l’abbattimento come un’occasione per poter mettere a nudo la struttura, quella che ha tenuto in piedi questi pezzi così diversi e li ha resi qualcosa di nuovo e vitale. Prendere questa armatura e costruirci sopra una nuova storia. Solo allora l’amarezza per una stagione che finisce diventerà la rincorsa da cui riprendere la strada, solo così l’arrabbiatura per una decisione che appare a metà tra la giustizia e l’accanimento potrà trasformarsi in una prova che non demolisce ma fortifica.
Resta un senso di incompiutezza, soprattutto per l’aver vissuto le ultime sere di sagra lontani dal pensiero che questa realtà sarebbe potuta terminare da lì a poco. Troppo entusiasmo ancora nell’aria, troppa contentezza negli occhi di tutti, soprattutto dei più piccoli che vedevamo sperimentare, ogni sera di più, le stesse emozioni che hanno accompagnato le estati dei tanti giovani transitati nella nostra parrocchia.
Lasciatemi aggiungere che il groppo alla gola ce l’abbiamo forse un po’ più di tutti noi “ragazzi grandi”, che qui c’abbiamo passato un’infanzia e che tra queste tavoli siamo diventati amici veri. I nostri vent’anni non ci permettono di piegarci facilmente all’idea che un luogo dove abbiamo passato gran parte della nostra adolescenza da qui a qualche settimana non esisterà più.
Io lo so che non si abbattono le emozioni, non si demoliscono i ricordi, non si smontano le speranze. In fondo, le “Luci” a San Pio X, non siamo noi?. 

Disegno di Liliana Ceragioli

lunedì 20 maggio 2013

"...Sopra una carrozza che ti porta via"


Alice era lì. Le gambe rigide piantate a terra, lo sguardo basso, la mano in tensione stringeva con forza eccessiva la sbarra di ferro. Il treno stava frenando. Una decelerazione lenta, prolungata, per cui già da qualche istante quel suono acutissimo aveva cominciato a lacerare il sempre uguale rumore di marcia. Il fischio stonato, tremulo, assordante che tante volte aveva sentito, le aveva sempre suggerito l'idea di un' imprecazione triviale e un po' goffa, come un'esclamazione spontanea suscitata da uno sforzo prolungato fatto controvoglia . In quel freddo pomeriggio primaverile invece, esso non le parve nient'altro che un rantolo straziante: se lo sentì palpitare alla bocca dello stomaco. Alice in quel momento non pensava. Nella sua testa rimbombava uno stato di cose confuse: parole, gesti, sguardi non delineabili precisamente, ma dalle quali sgorgava un silenzio che risultava del tutto impenetrabile, perché addensatosi nel vuoto lasciato dalla ragione.
L'unica cosa che seppe fare in questo stato fu voltarsi una, due, tre volte verso il vagone alla sua destra, poteva ancora vedere la sua testa appoggiata sullo schienale. Il vetro scuro della porta d'ingresso nella carrozza si frapponeva all'immagine, velandola di un alone grigiastro: pareva che tra lei e la persona di là dal vetro, che ora le dava le spalle in quanto proiettata verso la continuazione del suo viaggio, ci fosse già una vita di distanza. Pareva che in quei pochi metri non si fosse consumato soltanto il saluto imbranato di due anime che finalmente si erano trovate, ma che in quel banale pezzo di corridoio si fosse materializzata una barriera: la difficoltà che sorge dal rapportarsi con la persona a cui si sa di aver rivelato la propria verità più profonda.
Se avesse avuto un po' più di voce nel cuore, la voce necessaria per superare la “se stessa” di sempre, Alice avrebbe potuto fare tante domande ma questo non le era concesso. In fondo l’assenza di parole era stata la sconcertante reazione che l’aveva immobilizzata fin dal loro primo incontro. Una tensione irrazionale e quasi violenta al suo pensiero, un tremore profondo anche solo a sentire il suo nome, una perenne sensazione di insicurezza ogni volta che aveva la possibilità di prendere un’iniziativa: questo era come Alice viveva la sua presenza. Come poteva anche solo fissare i suoi occhi?.
E pensare che aveva atteso quel momento da un tempo inquantificabile, o meglio Alice avrebbe saputo dire con certezza quanti fossero i giorni trascorsi dall'ultima volta in cui avevano avuto la possibilità di vedersi, ma in questo caso “l’attesa” era qualcosa che andava oltre passare degli anni: si potrebbe dire che Alice attendesse quell’incontro da sempre, perché in fondo quello fu prima di tutto un incontro con se stessa.
Non voglio scendere” erano state le sue ultime parole pronunciate prima dell’abbraccio, parole generiche e impotenti, articolate a tono di voce sommesso mentre sul suo volto le compariva un sorriso scomposto e nervoso, che tentava di coprire malamente la sua tristezza. Non aveva saputo fare ciò che avrebbe voluto, ciò che infondo non era possibile compiere: condensare in qualche sillaba tutto ciò che aveva dentro. 
Quando i suoi piedi toccarono il marciapiede del binario le parve di essere scesa da un’altra dimensione, cominciò a camminare, lentamente, come se non sapesse dove dirigersi. Ed era così, sapeva solo vagare...con la netta sensazione che tutto quello per cui sarebbe dovuta restare se ne fosse appena andato.


Foto di Carmen Prisco

lunedì 25 marzo 2013

La neve


-“Nonna non ha ancora fatto la grande nevicata quest'anno...”,  disse Alice con tono interrogativo in modo da stimolare un qualche sua riflessione, 
-“E' vero Alice,  anch'io l'ho notato”
-“A me non sembra un buon segno nonna, quest'assenza crea un clima strano, irreale, non sembra di essere in questa stagione! Ma a nessuno interessa, l'altro giorno ho provato ad aprire questo argomento con i miei compagni, ma loro non mi hanno neppure ascoltato. Certo, non è una cosa che dipende da noi, ma a me pare tanto naturale stupirmene...”.
Nonna ora la guardava negli occhi, placida, serena, ma con un'espressione intensa, “Sei sempre stata una ragazza particolare Alice”
Alla nipote queste parole suonarono quasi sgradite, “Che vuoi dire?” le chiese seriosa“Voglio dire che tu guardi al mondo con occhi diversi da quelli della maggioranza, tu guardi e interiorizzi, tu osservi e riporti ciò che hai visto dentro di te, ecco perché non puoi fare a meno di farti domande. E fai bene, fai sempre bene a farti domande, anche se ti paiono sciocche o includenti: ogni interrogativo che sorge dalla tua coscienza, ogni moto di curiosità, è un battito di vita che hai conquistato di poter sentire più forte.” 
Alice rimase in silenzio, non sapeva cosa dire. 
- “Vedi bambina, se tu continuerai a vivere così, se tu continuerai a non mettere mai un limite ai tuoi pensieri, dovrai imparare molto presto una cosa: ognuno di questi interrogativi deve accompagnarsi ad un'unica, importante considerazione. Vorrei poterti dire che essa è la loro risposta ma no, non lo è. E' una considerazione cruciale però, che va bene per qualunque cosa tu ti chieda: è la consapevolezza che c'è un tempo per ogni cosa.”
La ragazza era sempre più perplessa 
-“Nonna cosa vuoi dirmi?”- Semplicemente, Alice, che sia che tu ti arrovelli su un sentimento, su un evento, su un desiderio, dovrai sempre tenere presente che ogni cosa non va mai considerata in assoluto, ma sempre e solo in relazione al tempo in cui essa diventa giusta. C'è un tempo per ogni cosa, ti ripeto”.
-“Ma lo so, non è una novità che ogni cosa arriva al momento giu...
-“No per favore, fammi finire, non  è questo che volevo dirti. Tu stai parlando di qualcosa che pare estremamente simile a ciò che ti voglio dire, ma che non potrebbe essere più diverso: tu stai parlando del'tempo dell'orologio. Tu stai parlando del tempo che scorre, del tempo dentro cui vivi. Io sto parlando del “tuo” tempo, del tempo interno.”
-“E che cos' è il tempo interno?”“Il tempo interno è il tuo progredire, il tuo maturare interiormente. Capisci ora cosa voglio dire?”
“No, direi proprio di no.”
Silenzio, nonna si fermò qualche istante a riflettere, poi riprese “Alice quando tu ti chiedi il perché di una cosa, devi pensare che esso si rivelerà nel “tuo” momento giusto: in quel momento della tua vita  in cui sarai pronta per riconoscerlo e comprenderlo. A te sembrerà che ciò avvenga in un momento determinato, ben preciso e individuabile, e che quindi dipenda dal mondo: in realtà esso accade solo quando tu sei davvero pronta ad accettarlo.” 
“Ma cosa centra tutto questo con la neve?”
“La neve, Alice, scenderà  quando tu avrai occhi tali da non poter fare a meno di vederla.” 

mercoledì 23 gennaio 2013

La coperta


Allora prendo i ricordi,
e li avvolgo in un panno caldo
rosso
d’amore e di coraggio.
Li rimbocco ben stretti
perché s’acquietino
e nel tepore smussino
i loro bordi taglienti. 
      
                                                (21 - 1 - 13)

lunedì 31 dicembre 2012

Pensiero Capodanno 2013

Per certi versi, questa è la mia giornata. E’ connaturato al mio modo di essere guardare sempre avanti, a ciò che viene dopo, fare progetti, avere obiettivi a lungo termine, ed è questo innegabilmente il giorno in cui ci si pone davanti al futuro visto come un’altra grande avventura fatta di nuovi 365 giorni. Si fanno progetti, ci si arma di buone intenzioni e in un certo senso ci si pasce in quell’idea tanto vaga quanto affascinante di una nuova possibilità che ci attende: lo sappiamo tutti, domani non faremo che svegliarci tardi con lo stomaco un po’ guastato e osservare un giorno che ci appare esattamente uguale al precedente, solo un po’ più corto. Ma forse è la prospettiva ad ingannarci: nella confusione del nostro pensiero focalizziamo solo quegli eventi straordinari che il nuovo anno dovrà portare con sé, momenti indimenticabili da annotare di lì a dodici mesi dopo, finendo così per sopravvivere inghiottiti dalla routine quotidiana mentre in attesa del brivido successivo. Il 2013 sarà l’anno dei miei vent’anni e se c’è un proposito con cui voglio iniziarlo è quello di vivere giorno per giorno, cercando (se non di trovare) perlomeno di chiedermi sempre i motivi per cui posso ritenermi fortunata. Continuando a fare il massimo, persistendo nella mia determinazione ma con la consapevolezza che il fatto stesso di aver la forza di continuare a credere e a sperare è già di per sé un dono meraviglioso. Questo è l’augurio che faccio a me stessa e a tutti voi. Buon anno!